iova qui riportare integralmente il bell'articolo di Massimiliano Alfiero sulla battaglia di El Alamein:
"Dopo la seconda controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale, la riconquista di Tobruk e di Marsa Matruh (vedi "Storia del Novecento" nr 17) le forze dell'Asse erano giunte alla fine di giugno 1942 a pochi chilometri da El Alamein: qui gli inglesi si erano trincerati per bloccare l'avanzata nemica verso Alessandria e il Cairo. Ad El Alamein, in arabo "due bandiere", c'era soltanto una piccola stazione lungo la ferrovia che dal Delta del Nilo raggiungeva il confine con la Libia e che gli inglesi avevano prolungato fino in prossimità di Tobruk. L'area desertica di estendeva dal mare per circa 70 chilometri fino alla depressione di el Qattara, una vasta area paludosa al di sotto del livello del mare, impraticabile e invalicabile per qualsiasi esercito motorizzato. Proprio ad el Alamein si sarebbero giocate le sorti della guerra nel deserto tra l'Asse e gli Alleati e forse quello dell'intero conflitto.
LA PRIMA BATTAGLIA
Il generale Rommel, da poco nominato feldmaresciallo, malgrado le riserve dello Stato Maggiore italiano, assicurò di essere in grado di proseguire l'offensiva e sbaragliare definitivamente le forze inglesi. Dall'altra parte, il generale Auchinleck, pur reduce da cinque settimane di ininterrotte sconfitte e quindi consapevole della gravità della situazione, era tuttavia deciso a resistere. Le forze a sua disposizione erano ancora sufficienti per poter difendere efficacemente Alessandria e il Delta del Nilo: a sua disposizione c'erano la maggior parte dei reparti della 50a divisione britannica, della 1a divisione sudafricana e della 2a divisione neozelandese del generale Freyberg.
Dall'Iraq era giunta la 18a Brigata indiana subito messa a difesa della posizione di Deir el Shein, mentre l'altra Brigata indiana, la 4a, aveva preso posizione ad Abu Weiss, più all'interno, ai margini della depressione di El Qattara. Come forze corazzate, Auchinleck poteva contare sui 150 carri della 1a divisione corazzata e sugli autoblindo della 4a Brigata corazzata leggera, di recente creata. Inoltre la RAF garantiva ancora un'eccellente copertura aerea tale da poter controllare dall'alto i movimenti del nemico.
Contro questa linea difensiva l'Armata italo-tedesca poteva opporre solo un'esigua forza corazzata formata da 35 carri tedeschi e poche decine di carri medi e leggeri delle divisioni corazzate italiane Ariete e Littorio, e della divisione motorizzata Trieste, i cui reparti erano stati decimati nelle precedenti battaglie. Malgrado la mancanza di forze adeguate Rommel era pronto a lanciare i suoi uomini all'attacco: sapeva benissimo che il tempo giocava a favore degli inglesi, e prima ancora che potessero rinforzarsi ulteriormente bisognava stanarli e distruggerli. Data l'esigua consistenza delle forze a sua disposizione, un attacco lungo tutto il fronte difensivo nemico era da scartare per cui Rommel decise di attaccare proprio la posizione di el Alamein con i carri della 15a e della 21a Panzer Division e quelli dell'Ariete. Il piano di Rommel prevedeva una manovra avvolgente da nord per accerchiare il 13º Corpo d'Armata inglese.
Durante il pomeriggio del 30 giugno i reparti tedeschi si scontrarono lungo il perimetro difensivo di el Alamein con quelli della 4a Brigata Corazzata inglese costringendola a ripiegare verso Alam el Onsol: in prossimità della cresta Ruweisat gli inglesi riuscirono però a bloccare l'avanzata dei mezzi tedeschi. I reparti indiani della 18a Brigata si sacrificarono per tutto il giorno opponendo una tenace resistenza e distruggendo 18 dei 55 carri tedeschi che erano entrati in combattimento. A bloccare definitivamente l'offensiva ci pensarono l'artiglieria e l'aviazione britannica: la prima con un potente fuoco di sbarramento, e la Raf con attacchi a volo radente sulle colonne italo-tedesche.
Più a sud l'attacco dell'Ariete venne respinto dalla 2a divisione neozelandese: per le tre Brigate neozelandesi a ranghi completi fu facile avere ragione degli scarsi reparti della divisione italiana, ridotta a poco più di 15 mezzi corazzati, trenta pezzi di artiglieria ed un centinaio di bersaglieri. I reparti della divisione si erano ritrovati allo scoperto nell'ampia depressione di Deep Well, ed erano stati attaccati contemporaneamente da tre lati dalle forze nemiche. Senza alcun riparo naturale non fu possibile organizzare nessuna difesa ne tantomeno ripiegare in ordine.
La sconfitta della Divisione corazzata italiana colse di sorpresa lo stesso Rommel: "questo colpo ci arrivò del tutto inatteso, perché nei combattimenti durati lunghe settimane presso Knights Bridge l'Ariete, sia pure sotto la protezione dell'artiglieria e dei carri tedeschi, si era battuta bene contro tutti gli assalti britannici, sebbene subisse sensibili perdite. Ora gli italiani non erano più in grado di rispondere alle enormi esigenze della situazione".
A partire dal 10 luglio ebbe inizio la prima battaglia difensiva di el Alamein, che si protrasse fino al 27 luglio. Nella notte tra il 10 e l'11 luglio il generale Auchilenck, avuta la certezza che il grosso delle forze italo-tedesche era concentrato nel settore centro-meridionale del fronte, lanciò un attacco in quello settentrionale con la 9a divisione australiana e la 1a divisione sudafricana: l'obiettivo era la conquista delle alture di Tell el-Eisa e Tell el-Makh-Khad lungo la strada costiera.
A difesa del settore di Tell el-Eisa c'erano i reparti della divisione italiana Sabratha che vennero ben presto travolti dall'assalto degli australiani. Per chiudere la breccia vennero inviati rinforzi che riuscirono a fermare il nemico a sette chilometri dall'obiettivo e a infliggergli notevoli perdite soprattutto per quanto concerne i reparti corazzati. Anche nel settore di Tell el-Makh-Khad l'attacco dei sudafricani venne bloccato dalla forte resistenza dei reparti italo-tedeschi. Fallito l'offensiva britannica, Rommel tra il 12 e il 14 luglio riorganizzò i suoi reparti tentando di ristabilire la precedente linea difensiva.
Il 15 luglio gli inglesi tornarono all'attacco nel settore dell'altura di Ruweisat questa volta al centro dello schieramento difensivo delle forze dell'Asse. I primi ad essere investiti furono i reparti della divisione Brescia, che pur opponendo una fiera resistenza vennero ben presto travolti dall'attacco dei mezzi corazzati nemici. Rommel contrattaccò con tutte le forze disponibili ristabilendo la situazione a suo favore. Un nuovo attacco nemico si verificò tra il 21 ed il 22 luglio, risolvendosi ancora una volta in un completo insuccesso per i britannici. Le forze italo-tedesche, malgrado le notevoli perdite, la mancanza di rifornimenti e la superiorità nemica in uomini e mezzi, mosse da indomito valore e spirito di sacrificio resistevano.
LA SECONDA BATTAGLIA: ALAM EL HALFA
Di fronte agli insuccessi di Auchilenck, il primo ministro inglese Churchill si vide costretto a sostituirlo: al comando dell'Ottava Armata venne designato il generale Gott, un veterano della guerra nel deserto, mentre il comando generale del Medio Oriente fu assunto dal generale Alexander. Il 7 agosto però Gott morì durante un volo di trasferimento in Egitto, quando l'aereo sul quale viaggiava venne abbattuto; il comando dell'Ottava Armata fu assunto così definitivamente dal generale Bernard Law Montgomery.
Anche sul fronte italo-tedesco c'erano state delle novità: l'insieme delle truppe a disposizione di Rommel aveva assunto la denominazione di Armata corazzata italo-tedesca (ACIT). Erano giunte nuove truppe: la divisione paracadutisti Folgore, la 164a divisione di fanteria tedesca, la 22a Brigata paracadutisti tedesca agli ordini del generale Ramcke e dalla Tripolitania i reparti corazzati della divisione Littorio.
Il 28 agosto, sempre consapevole che il tempo giocava a favore del nemico, Rommel inviò ai reparti le direttive per la nuova offensiva che doveva scattare il 30 agosto: la manovra di Rommel prevedeva un avvolgimento da sud e poi una conversione a nord oltre il rilievo di Alam el Halfa al fine di colpire il nemico sul fianco e alle spalle. Insieme al Deutsche Afrika Korps, attaccarono il XX Corpo Motorizzato italiano, con le divisioni corazzate Ariete e Littorio e la divisione motorizzata Trieste, sul fianco sinistro della 15a e 21a Panzer division.
L'attacco iniziò nella notte tra il 30 ed il 31 agosto: i reparti corazzati tedeschi investirono il settore meridionale del fronte, con l'obiettivo di superare la zona dei campi minati, aggirare l'intero schieramento inglese e sboccare sulla costa all'altezza di El Hamman, alle spalle dell'Ottava Armata.
La 15a Panzer attaccava con 70 carri PzKpfw III e IV e la 21a Panzer con altri 120. Prima di mezzanotte, i reparti avanzati della 15a Panzer vennero a contatto con le difese britanniche della fascia minata. Invece delle deboli forze previste, però i reparti tedeschi trovarono profondi campi minati e una forte resistenza nemica. Il 1º battaglione del 115º reggimento granatieri corazzato (15a Panzer), agli ordini del maggiore Busch, si trovò sotto un potente fuoco di sbarramento dell'artiglieria prima di dover fronteggiare un contrattacco della fanteria britannica. Urgevano subito rinforzi: l'arrivo del 2º battaglione, agli ordini del capitano Weichsel, salvò la situazione. I granatieri tedeschi superarono di slancio lo sbarramento minato, riuscendo a stabilire una testa di ponte rendendo così possibile la creazione di un passaggio per i carri della 15a Panzer.
Il generale Walther Nehring, comandante dell'Afrika Korps, guidò l'assalto dei suoi uomini seguendo la 21a Panzer: insieme con lui, a bordo della sua autoblindo-comando, il Capo di Stato Maggiore, colonnello Bayerlein. Poco dopo l'inizio dell'attacco, giunse la prima triste notizia: la morte del comandante della 21a Panzer Division, generale Georg von Bismarck, caduto alla testa della sua unità, mentre tentava di attraversare la zona dei campi minati. I reparti italo-tedeschi continuavano a combattere di fronte ai campi minati, strenuamente difesi dal nemico mentre dall'alto, la Raf colpiva a volo radente le colonne motorizzate nemiche.
Per meglio illuminare il campo di battaglia gli aerei inglesi lanciavano bombe al magnesio che si incendiavano quando toccavano il suolo: il bagliore delle esplosioni illuminava per molto tempo l'area circostante, permettendo così ai piloti di scorgere i movimenti dei reparti nemici. Dopo la morte di von Bismarck, il comando dell'Afrika Korps perse anche il generale Nehring, rimasto ferito nel corso di un bombardamento aereo: la guida dei reparti corazzati avanzati venne assunta dal colonello Bayerlein.
Solo poco prima dell'alba, la resistenza dei reparti britannici a difesa della zona dei campi minati nel settore meridionale iniziò a scemare: le punte corazzate del DAK penetrarono per circa 12-15 chilometri oltre la linea difensiva nemica invece dei 50 previsti. Il piano di Rommel di penetrare profondamente verso est e di ruotare all'alba verso la costa, era dunque fallito.
Dalle memorie del colonello Bayerlein: "Riflettemmo se interrompere la battaglia, perché gli inglesi sapevano ormai dove eravamo. Rommel parlò con me della situazione e giungemmo alla decisione di continuare l'attacco. Ma una cosa era evidente: la "grande soluzione", ossia il vasto aggiramento dell'Ottava Armata, non era più possibile, in quanto l'avversario aveva avuto il tempo sufficiente per preparare le sue controazioni. L'avversario ci costringeva dunque alla "piccola soluzione": essa consisteva nel fatto che noi dovevamo girare verso nord assai prima di quanto progettato e, in tal modo, urtare direttamente contro il dorso dell'altura di Alam Halfa, con l'importante quota 132, che doveva essere conquistata mediante un attacco diretto".
Ad aggravare ulteriormente la situazione subentrò il mancato arrivo dei rifornimenti di carburante: le petroliere che dovevano assicurare la benzina per i mezzi corazzati delle forze italo-tedesche erano state tutte affondate o gravemente danneggiate durante il tragitto nel Mediterraneo. Il 31 agosto, i panzer tedeschi attaccarono l'altura di Alam Halfa, difesa nel settore entro-orientale dai reparti della 44a divisione di fanteria britannica e della 10a divisione corazzata nel settore occidentale. Una provvidenziale tempesta di sabbia, bloccò a terra l'aviazione nemica: cogliendo al volo questa inaspettata circostanza, i panzer tedeschi attaccarono immediatamente a sud dell'altura, scontrandosi con i carri Grant della 22a Brigata corazzata inglese.
L'attacco non ebbe successo per l'ostinata resistenza nemica: nel tardo pomeriggio, i panzer tedeschi furono costretti a ripiegare verso sud, raggruppandosi nella depressione Ragil. Per rinforzare le posizioni di Ruweisat Montgomery vi trasferì una brigata sudafricana ed altri reparti per bloccare definitivamente la spinta offensiva nemica. Il 1º settembre, la 15a Panzer, passata temporaneamente agli ordini del colonnello Crasemann, fu lanciata contro l'altura di Alam Halfa e, dopo durissimi combattimenti riuscì ad arrivare quasi fino alla quota 132, punto strategico di vitale importanza.
Se si superava lo sbarramento nemico alla quota 132 i panzer tedeschi avrebbero avuto via libera verso il mare. Anche il nemico era consapevole dell'importanza della posizione per cui le forze tedesche vennero bombardate incessantemente dall'artiglieria e dall'aviazione. I carri dell'8º Panzerregiment della 15a divisione corazzata tedesca erano riusciti a penetrare nelle linee avversarie giungendo a soli 8 chilometri dalla costa alle spalle del fronte di El Alamein. Ma, sulla sinistra, il 5º Panzerregiment della 21a Panzerdivision era bloccato davanti alle posizioni difensive britanniche, con i carri e la fanteria motorizzata sotto il fuoco dei caccia nemici.
Dopo tre giorni di durissimi combattimenti, considerando le perdite e la mancanza di carburante, Rommel si vide costretto a sospendere l'offensiva e ad ordinare l'arretramento del fronte difensivo. Il 4 settembre gli inglesi lanciarono l'operazione Beresford nel tentativo di eliminare il saliente che le forze italo-tedesche erano riuscite a creare durante l'ultima offensiva, nella zona di Deir Alinda, Deir el Munassib e Deir Munafid.
L'attacco inglese si arenò davanti alla forte resistenza dei reparti della divisione Folgore, che riuscirono a respingere le puntate offensive del nemico infliggendogli notevoli perdite.
TENTATIVO DI COLPO DI MANO A TOBRUK E ATTACCHI DI FINE SETTEMBRE
er tentare di allegerire la pressione nemica sul fronte di El Alamein, gli inglesi tentarono tra il 13 ed il 14 settembre un attacco a sorpresa contro la piazzaforte di Tobruk: l'attacco congiunto dall'entroterra con reparti del Long Range Desert Group e dal mare con reparti di Royal Marines, appoggiati da una squadra navale si risolse in un completo insuccesso.
Le forze italiane a difesa del porto (un battaglione del Reggimento San Marco, elementi del XVIII° battaglione carabinieri, il V° battaglione libico ed una compagnia di formazione della Marina), seppero reagire prontamente e stroncarono sul nascere il velleitario tentativo nemico. Grazie anche al pronto intervento della Regia Aeronautica e della Luftwaffe gli inglesi subirono gravi perdite: oltre a più di cinquecento uomini dei reparti speciali gli inglesi lamentarono la perdita dell'incrociatore Coventry, dei cacciatorpediniere Sikh e Zulu e di 7 motosiluranti.
Il 23 settembre, spossato dalla fatica e bisognose di un periodo di cure ma soprattutto di riposo, Rommel lasciò il comando dell'Armata corazzata italo-tedesca, sostituito dal Generale Georg Stumme, veterano del fronte dell'est.
Al mattino del 30 settembre nei pressi di Deir el Munassib, all'estremità meridionale del fronte, gli inglesi attaccarono di nuovo: a difesa di quella posizione c'erano i paracadutisti del IX battaglione del 187º Reggimento Folgore. Dall'altra parte c'era un battaglione del Queen's Royal Regiment, appoggiato da circa 40 carri. Dopo aver pesantemente bombardato per oltre un'ora le posizioni dei parà, la fanteria nemica approfittando del fumo alzatosi dopo le esplosioni riuscì a penetrare attraverso alcuni varchi prodotti dalle artiglierie nella zona dei campi minati. La reazione dei paracadutisti non si fece però attendere: una prima colonna inglese si ritrovò in mezzo al campo di tiro della 25a e 26a compagnia paracadutisti, mentre l'altra colonna si scontrò con la 27a compagnia ed il battaglione tedesco "Hubner". Seguirono durissimi scontri che videro gli inglesi lamentare pesanti perdite e quindi decidersi a ripiegare per evitare l'annientamento. Negli scontri i britannici lamentarono la perdita di 200 uomini tra morti e feriti e circa 150 prigionieri.
L'ULTIMA BATTAGLIA
Mentre le forze italo-tedesche erano sempre in attesa di ricevere adeguati rinforzi e rifornimenti, sull'altra sponda grazie agli aiuti americani non c'era di che lamentarsi. Lo Zio Sam aveva fatto affluire nei porti egiziani carri armati, artiglierie, automezzi, montagne di munizioni e milioni di litri di carburante. L'aggravarsi della situazione militare sul fronte dell'est, non aveva consentito a Berlino di inviare ulteriori rinforzi in Africa settentrionale, cosi come lo Stato Maggiore italiano aveva pensato bene di inviare sul fronte russo mezzi e uomini che sarebbero stati di vitale importanza per il conseguimento del successo sul fronte africano.
Mancarono la fortuna e non il valore come si scrisse dopo, ma mancò anche nelle nostre alte gerarchie militari la volontà di vincere, quasi come se qualcuno stesse veramente già pensando ad una pace con gli alleati e pur di raggiungerla stava portando allo sfacelo le nostre forze armate. Quindi la famosa frase potrebbe essere modificata in "Mancarono la fortuna, i mezzi e la volontà, che resero vano il valore dei nostri soldati".
Durante il periodo antecedente la fase finale della battaglia i reparti italo-tedeschi furono impegnati nel fortificare le posizioni difensive e stendere una vasta fascia di campi minati, i cosiddetti "giardini del diavolo", zone di terreno zeppe di mine e trappole esplosive.
LE FORZE IN CAMPO
'Armata Corazzata Italo-Tedesca, alla vigilia dell'ultima battaglia di El Alamein, allineava: a nord il XXI Corpo d'Armata (Gen. Gloria) compredente le divisioni di fanteria italiane Trento e Bologna, la 164a infanteriedivision tedesca e due battaglioni della brigata paracadutisti Ramcke. La presenza di reparti misti alternati, italiani e tedeschi, fu ritenuta necessaria da Rommel, alfine di bilanciare l'insufficiente armamento italiano. A sud, il X Corpo d'Armata (Gen. Frattini) con le divisioni di fanteria Brescia e Pavia, la divisione paracadutisti Folgore e gli altri due battaglioni della Brigata Ramcke.
Dietro questa prima linea c'erano le forze corazzate mobili: a nord la 15a Panzer e la divisione corazzata Littorio (Gen. Bitossi), a sud la 21a Panzer e la divisione corazzata Ariete (Gen. Arena). La divisione motorizzata Trieste (Gen. La Ferla ) e la 90a divisione leggera tedesca erano dislocate ancora più a tergo dello schieramento, lungo la fascia costiera, per respingere un eventuale sbarco inglese. L'intero schieramento comprendeva in totale: 104.000 uomini (circa 55.000 italiani), 751 pezzi di artiglieria, 522 pezzi anticarro, 489 carri armati (211 tedeschi, 278 italiani), poche decine di autoblindo, 675 aerei (di cui solo 150 tedeschi e 200 italiani efficienti).
L'Ottava Armata inglese schierava invece, a nord, in prima linea, il XXX Corpo d'Armata (Gen. Leese), comprendente la 9a divisione australiana, la 51a "Highland", la 2a neozelandese, la 1a sudafricana e la 4a indiana. Più a sud, c'era il XIII Corpo d'Armata (Gen. Horrocks), comprendente le divisioni di fanteria 50a e 44a , la brigata della "Francia Libera" e un gruppo di brigata greco. In seconda linea, a tergo del XXX Corpo, c'era il X Corpo d'armata (Gen. Lumsden), con le divisioni corazzate 1a e 10a, mentre dietro al XIII Corpo c'era il grosso della 7a Divisione corazzata. A disposizione di Montgomery c'erano inoltre inoltre, una brigata indiana, una brigata corazzata, due brigate di artiglieria contraerea e una brigata di fanteria indiana. In totale: 220.000 uomini, 1348 carri armati, 400 autoblindo, 939 pezzi di artiglieria, 1200 aerei da caccia e da bombardamento.
Già da queste cifre la sproporzione delle forze è alquanto evidente, se poi iniziamo a considerare anche la qualità degli armamenti la situazione delle forze dell'Asse era catastrofica. Le formazioni corazzate inglesi disponevano di 285 carri Sherman, 246 Grant, 421 Crusader, 167 Stuart, 223 Valentine e 6 Matilda. I 489 carri dell'Asse, comprendevano 239 carri medi e 20 carri leggeri italiani, nettamente inferiori ai carri Sherman e Grant di costruzione americana ma anche ai Crusader inglesi. Inferiori erano anche i 30 carri leggeri tedeschi Panzerkamfwagen II, mentre i 170 PanzerKampfwagen III reggevano appena il confronto. Gli unici carri superiori a quelli nemici erano i 38 Panzerkampfwagen IV tedeschi, alcuni dei quali montavano il cannone da 75mm.
Da parte italiana, gli unici mezzi validi erano i semoventi da 75/18, delle divisioni corazzate Ariete e Littorio. Per quanto riguarda le armi anticarro, gli italiani disponevano del superato pezzo da 47/32 e i tedeschi dell'altrettanto inefficace 50/35. Gli unici pezzi di rilievo erano il cannone da 88/55 tedesco, vero terrore dei carri nemici, e il cannone italiano da 90/53.
Gli inglesi erano dotati dell'ottimo pezzo da 57mm entrato in servizio proprio nell'estate del '42. L'artiglieria nemica era quantitativamente e qualitativamente nettamente superiore, considerando anche che la maggior parte dell'artiglieria italiana allineava ancora vecchi cannoni risalenti alla prima guerra mondiale. Ai 1200 aerei della RAF Rommel poteva opporre solo 700 aerei (di cui efficienti solo 150 caccia e 180 bombardieri.
OPERAZIONE LIGHTFOOT
'Operazione Lightfoot messa a punto dallo Stato maggiore di Montgomery prevedeva un massiccio attacco nel settore settentrionale del fronte, con le quattro Divisioni del XXX Corpo e le due Divisioni corazzate del X Corpo, mentre nel settore meridionale, sarebbe stato lanciato un attacco diversivo, per mascherare la direttrice principale dell'offensiva.
Alle 20.40 (ora del settore italo-tedesco) del 23 ottobre 1942, l'artiglieria inglese con circa mille pezzi da campagna aprì il fuoco contro le posizioni italo-tedesche ad El Alamein: un uragano di fuoco si rovesciò sulle teste dei nostri soldati. Inizialmente vennero colpite le posizioni dell'artiglieria poi dopo quindici minuti il fuoco fu diretto contro le posizioni difensive avanzate. Poco dopo la fanteria nemica si mosse per aprire i varchi nei campi minati per il passaggio dei mezzi corazzati. Ovunque si accesero furiosi combattimenti che videro impegnati per primi i battaglioni del 62º Reggimento della divisione Trento e quelli del 382º Reggimento tedesco (164a Infanteriedivision).
Nel settore nord del fronte l'attacco della 9a divisione australiana e della 51a inglese, permise una prima penetrazione dei carri della 1a e 10a divisione corazzata all'interno del dispositivo difensivo italo-tedesco. Un pronto contrattacco della Trento, da parte del III Battaglione del 61º Reggimento, appoggiato dai cannoni del I e III Gruppo del 46º Reggimento, riuscì a bloccare l'offensiva nemica, lasciando i fanti e i carri nemici in balia in mezzo ai campi minati. Al centro dello schieramento, anche l'attacco della 4a divisione indiana contro la cresta di Ruweisat venne bloccato dai fanti della divisione Bologna. Più a sud ci pensarono i paracadutisti della Folgore a fermare la fanteria della 44a divisione inglese e i carri della 7a divisione corazzata: i parà dell'VIII battaglione guastatori e del VII battaglione del 186º Reggimento, agli ordini del tenente colonello Ruspoli, grazie all'appoggio del V Gruppo di artiglieria e di alcuni panzer tedeschi bloccarono in mezzo ai campi minati gli inglesi.
Un altro attacco di una formazione mista comprendente inglesi e francesi quasi al confine della depressione di El Qattara cozzò contro le difese del V battaglione del 186º reggimento a Nagh Rala. Un contrattacco portato dai paracadutisti insieme al II battaglione del 27º reggimento della divisione Pavia frenò definitivamente l'offensiva nemica.
Nei cieli di El Alamein i piloti italiani del 4º e 5º stormo caccia e del 50º stormo d'assalto, a bordo dei superati Fiat CR.42, si stavano battendo valorosamente contro la superiorità aerea della RAF.
Al mattino del 24 ottobre, Montgomery non poteva dirsi certo soddisfatto circa l'andamento delle operazioni: malgrado qualche piccolo successo locale il grosso delle sue forze era ancora bloccato davanti ai campi minati antistanti lo schieramento difensivo nemico. Per incitare i suoi comandanti di divisione a fare meglio, arrivò addirittura a minacciarli di sostituzione.
Sul fronte italo-tedesco vennero lanciati una serie di contrattacchi per ristabilire la linea del fronte ed eliminare le brecce aperte in seguito all'attacco nemico. Sul fronte meridionale il contrattacco portato dai paracadutisti della Folgore pur concludendosi positivamente costò la vita al comandante Ruspoli. In quelle ore cadde anche il generale Stumme, stroncato da un attacco cardiaco mentre la sua vettura era finita sotto il fuoco nemico.
Bollettino n.882 del 25 ottobre 1942: "Dopo intensa preparazione di artiglieria il nemico ha attaccato i settori settentrionali e meridionale del fronte di El Alamein con importanti forze blindate e di fanteria. L'avversario, ovunque respinto, ha subito gravi perdite soprattutto in mezzi corazzati, di cui 47 risultano finora distrutti. La battaglia continua. L'aviazione britannica, intervenuta con poderose formazioni a sostegno dell'azione terrestre, è stata efficacemente contrastata dalla caccia dell'Asse che abbatteva 16 apparecchi in fiamme; altri 4 precipitavano al suolo sotto il tiro delle batterie contraeree".
IL RITORNO DI ROMMEL
ntanto Rommel era ancora in convalescenza in Austria: non appena gli venne comunicato telefonicamente l'inizio dell'offensiva inglese non ci pensò due volte a far subito i bagagli per il fronte africano. Alle ore 23.25 del 25 ottobre, tutti i reparti italo-tedeschi sul fronte di El Alamein ricevettero il seguente messaggio: "Ho ripreso il comando della Panzerarmee - Rommel".
Solo nel pomeriggio del 26 ottobre, gli inglesi ripresero l'offensiva, facendola sempre precedere dal fuoco di preparazione dell'artiglieria. A nord gli inglesi attaccarono nell'area denominata Kidney Bridge con la 9a divisione australiana e la 51a inglese: dopo alcune penetrazioni locali, l'offensiva venne bloccato dall'intervento dei reparti della 15a Panzer Division e della divisione corazzata Littorio. Sul fronte meridionale, ancora una volta l'attacco inglese portato dalla 44a divisione inglese venne fermato nei pressi di Deir el Munassib dai paracadutisti della Folgore.
Il 27 ottobre, Rommel decise di contrattaccare nel settore settentrionale con la 90a leggera, la 21a Panzer e reparti dell'Ariete. Il tentativo fu vanificato dal potente fuoco di sbarramento dell'artiglieria nemica e dall'intervento dei bombardieri nemici che colpirono duramente le colonne italo-tedesche. Dal 28 ottobre si ritornò sulla difensiva: malgrado la superiorità dei mezzi a disposizione Montgomery non riusciva a creare un varco nella linea difensiva nemica. Questa situazione di attacchi e contrattacchi durò fino alla fine di ottobre, senza alcun risultato di rilievo né da una parte né dall'altra: un logorio continuo di uomini e di mezzi che giocava come già detto più volte, a favore degli inglesi.
OPERAZIONE SUPERCHARGE
partire dal 1 novembre Montgomery passò ai suoi comandi le ultime direttive per l'operazione Supercharge: il vecchio Monty voleva una volta per tutte travolgere le difese italo-tedesche con una massa corazzata appoggiata da tutta l'aviazione alleata disponibile. Questa volta l'attacco decisivo doveva essere portato nel punto di congiunzione tra lo schieramento tedesco e quello italiano, con il maggiore sforzo contro i reparti italiani ritenuti più vulnerabili.
Dopo il solito bombardamento dell'aviazione e dell'artiglieria, all'alba del 2 novembre iniziò l'attacco delle fanterie e dei mezzi corazzati. Mentre la 9a divisione australiana effettuava un attacco diversivo in direzione della costa, più a sud passando attraverso un varco creato nei campi minati la 9a Brigata corazzata (2a divisione neozelandese) doveva aprire la strada alle divisioni corazzate del X Corpo d'Armata (1a e 10a).
Quando la 9a Brigata stava per giungere nei pressi della pista Rahman, venne a contatto con le difese anticarro tedesche, perdendo ben 73 dei suoi 94 carri nei combattimenti. Tuttavia il suo sacrificio non fu vano, dal momento che le altre divisioni corazzate inglesi riuscirono a passare attraverso lo schieramento nemico e ad ingaggiare battaglia.
Il comandante del Deutsche Afrika Korps, generale Ritter von Thoma, si vide costretto a lanciare in combattimento tutti i mezzi corazzati ancora a sua disposizione, per tentare di fermate gli inglesi: i resti della 15a e 21a panzer e i reparti corazzati della Littorio e della Trieste. Appena un centinaio di carri contro più di duecento carri nemici: i nostri valorosi carristi a bordo degli M13 e M14 poco potevano contro i potenti Grant e Sherman, ma si lanciarono comunque all'attacco, per l'onore e per la patria.
L'assalto nemico venne temporaneamente bloccato, e Rommel voleva approfittarne per effettuare un ripiegamento all'altezza di Fuka e salvare la maggior parte dei reparti italo-tedeschi. Ma il 3 novembre da Berlino e da Roma arrivò l'ordine di "mantenere a qualunque costo attuale fronte". Nella serata del 3 novembre le divisioni italiane Littorio, Trieste e Ariete ricevettero l'ordine di ritornare in prima linea e prendere contatto con il nemico.
Nel frattempo Montgomery proprio durante la notte tra il 3 ed il 4 novembre ordinò una manovra di aggiramento della sacca di Tell el Aqqaqir ed un attacco generale tra la costa e la depressione di Deir Abu Busat. La 9a divisione australiana travolse i reparti della 90a leggera, mentre le divisioni corazzate 1a e 10a piombarono sugli altri reparti del Deutsche Afrika Korps. L'Ariete si ritrovò isolata, mentre la Littorio continuava a battersi con gli ultimi 20 carri rimasti.
Proprio l'Ariete insieme ai resti della Littorio e della 15a panzer venne impiegata per coprire la ritirata alle altre forze: finalmente da Roma, valutata l'inutilità della lotta ad oltranza, era giunto l'ordine di ripiegamento. I carristi dell'Ariete si sacrificarono fino all'ultimo quando venne inviato l'ultimo messaggio radio:
"Carri armati nemici fatta irruzione a sud dell'Ariete; con ciò Ariete accerchiata. Trovasi circa 5 chilometri nord-est Bir el-Abd. Carri Ariete combattono".
A proposito dei carristi italiani e della giornata del 4 novembre scrisse Rommel nelle sue memorie: "La disperata lotta dei piccoli e scadenti carri italiani del XX Corpo contro i pesanti carri britannici che avevano aggirato gli italiani, vide i nostri camerati battersi con straordinario valore... I carri armati della Littorio e della Trieste venivano abbattuti uno dopo l'altro dai britannici. I loro cannoni da 47mm, esattamente come i nostri da 50mm, non avevano alcuna efficacia contro i carri inglesi... La sera il XX Corpo italiano, dopo valorosa lotta, era annientato. Con l'Ariete perdemmo i nostri più anziani camerati italiani, ai quali, bisogna riconoscerlo, avevamo sempre chiesto più di quello che erano in grado di fare con il loro cattivo armamento".
Nel settore meridionale, le forze del X Corpo d'Armata italiano (le divisioni Brescia, Pavia e Folgore), pur essendo molto provate ma non annientate, si trovarono senza mezzi per poter effettuare il ripiegamento. Quando giunse l'ordine ai decimati reparti della Folgore, ormai era troppo tardi: senza autocarri i paracadutisti, mancando di viveri ed acqua, marciarono nel deserto trascinando le poche mitragliatrici e i cannoni rimasti. Vagarono così per tre lunghissimi giorni, finchè non furono tutti catturati dal nemico. Su 5.000 effettivi dell'organico iniziale, restavano solo 300 superstiti tra ufficiali e soldati.
Il 5 novembre le forze italo-tedesche ripiegarono su Fuka, ed il 6 su Marsa Matruh; il 12 venne raggiunta la linea Tobruk-el Adem.
LE PERDITE
a battaglia di El Alamein costò all'Armata italo-tedesca 25.000 uomini, tra morti, feriti e dispersi, oltre a 30.000 prigionieri: tra questi ultimi anche 10.724 tedeschi, compreso il comandante dell'Afrika Korps, Generale von Thoma. Da parte inglese si lamentava la perdita di 13.560 uomini, tra morti, dispersi e feriti e 600 carri armati fuori combattimento. Vista l'enorme sproporzione di forze in uomini e mezzi all'inizio della battaglia, le perdite inglesi sono da ritenersi troppo alte.
TESTIMONIANZE DEL NEMICO
uando si parla della battaglia di El Alamein si pensa subito a due nomi: Rommel e Folgore. I paracadutisti italiani si batterono da leoni, ma anche le altre nostre divisioni si comportarono altrettanto valorosamente. Le testimonianze che seguono, rivolte in modo specifico ai combattenti della Folgore, desideriamo dedicarle a tutti i soldati italiani che sacrificarono la loro vita in terra d'Africa combattendo con mezzi inferiori contro un nemico dieci volte superiore.
"...gli italiani si sono battuti molto bene. La divisione paracadutisti Folgore ha resistito al di là di ogni possibile speranza". (Radio Cairo, 8 Novembre 1942)
"...la resistenza opposta dai resti della divisione Folgore è stata ammirevole". (Reuter Londra, 11 Novembre 1942)
"...gli ultimi superstiti della Folgore sono stati raccolti esanimi nel deserto. La Folgore è caduta con le armi in pugno". (BBC Londra, 3 Dicembre 1942)
"...dobbiamo davvero inchinarci davanti ai resti di quelli che furono i leoni della Folgore". (BBC Londra, discorso del Primo Ministro Churchill, alla Camera dei Comuni).
OGGI
territori compresi nella stretta fra El Alamein e la Depressione sono stati per tantissimi anni inesplorati; negli anni 50 Paolo Caccia Dominioni con il fidato serg. Chiodini hanno battuto il terreno ancora infido alla ricerca delle spoglie mortali dei combattenti che ora riposano nei rispettivi sacrari.
I beduini, avuto l'appalto dal governo egiziano per la rimozione dei relitti ferrosi, hanno letteralmente ripulito tutto il territorio e la fonderia di Alessandria ha utilizzato tale materiale fino a pochi anni fa! Poi più niente. Qualche raro reduce che tornava, qualche ancor più rara spedizione, ma sostanzialmente il teatro di tante miserie ha riposato e custodito le tante migliaia di dispersi che ancora la sabbia cela. La svolta avviene con la decisione del governo egiziano di aprire un nuovo “fronte del turismo”: la costa mediterranea. Nel volgere di poco tempo il litorale viene progressivamente urbanizzato e alberghi, centri turistici, villaggi, cominciano a ricoprire i solchi lasciati dai carri armati che ancora fino a poco fa era possibile osservare, e località come Fuka, Sidi Abd El Rahman, El Alamein, da semplici villaggi cominciano a prendere la veste di agglomerati urbani disordinati. Per Marsa Matruh il discorso è diverso perché innanzitutto è il più grosso centro fra Cairo e Alessandria e da sempre è la spiaggia dei locali.
La scoperta poi del petrolio ha ulteriormente infierito sull'ambiente, infatti la piana desertica è ora costellata di torri di trivellazione e le compagnie stanno saggiando tutto il territorio, partecipando allo sminamento (si calcola che più di un milione di mine siano ancora attive e sepolte). Non so per quanto tempo, ma è ancora comunque possibile percorrere itinerari tematici ricchi di suggestione e di sorprese fra i tell, qeret, bir, gebel, deir, alam, bab, minqar attraversando le famose Rommel piste, pista Chianti, Whisky, Rossa, Tonnen piste, Eis piste, Otto piste fino ad arrivare al mitico Himeimat, Passo del cammello, oasi del Moghra.